Nel 1969 Alexander Mitscherlich scriveva ne "Il Feticcio urbano" che "le nostre città e le nostre abitazioni sono prodotti della fantasia e della mancanza di fantasia, della grandiosità quanto della meschina testardaggine. Ma consistendo di una dura materia, hanno anche l'effetto proprio degli stampi; noi non possiamo adattarci ad esse. Questo modifica, in parte, il nostro atteggiamento, il nostro essere. Si tratta alla lettera di un circolo fatale, tale da determinare un destino; gli uomini si creano nella città uno spazio per la loro vita, ma non meno un ambito d'espressione con sfaccettature innumerevoli, e tuttavia tale configurazione urbana determina a sua volta il carattere sociale degli abitanti".
Volendo tradurlo potrebbe significare quello che dicevano i nostri vecchi parlando dei genovesi, ovvero che il venire su tra monti e mare, lo spazio stretto, non ci ha permesso di essere socievoli verso il prossimo.
Al di là di questo, vi assicuro che un pezzo di focaccia non lo si nega a nessuno, oggi prendendo in mano questo pamphlet di 50 anni fa mi è sembrato di scorgere un'analisi che possiamo riportare ai giorni nostri. Perlomeno parole che potrebbero farci riflettere sul nostro modo di vivere e come plasmiamo alla fine i luoghi dove abitiamo, o meglio come di modificano loro.
Spesso mi capita di sentir dire che Genova era molto più bella una volta, magari anche questo fa parte del mugugno, ma guardando foto in bianco e nero e più di una volta ho trovato strutture più a misura d'uomo. Tempi diversi, questo è chiaro.
Se cinquant'anni fa scrivevano cose del genere cosa potremmo mai direi al giorno d'oggi. Non sono mai stato uno di quelli che in maniera manichea si è schierato contro il progresso, in questo caso architettonico, mi pare però che si possa sostenere la tesi che il nostro modo di essere subisca profonde influenze da ciò che gli sta attorno. In una certa misura si può parlare di scambio reciproco ma la bilancia ultimamente mi pare pesi più da una certa parte.
Mancanza di idee, incapacità di cogliere i segnali del nuovo oppure l'architettura che insegue il profitto?
Chissà magari come dice Mitscherlich il destino delle città è di essere istigatrici di discordia.